Leatherface: la pelle e il volto di un cattivo senza tempo

La vita di Ed Gein, uno dei serial killer più controversi della storia americana, e la sua trasposizione cinematografica nel film Leatherface di Alexandre Bustillo e Julien Maury.

Leatherface è forse uno dei “cattivi” del cinema più conosciuti ed amati dagli appassionati del genere horror. Abbiamo sempre assistito alle sue esecuzioni, ma nessuno ha mai parlato della sua genesi, neanche Tobe Hooper, che con il suo Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre – 1974) ha dato  avvio ad un modo tutto nuovo di fare cinema – e, soprattutto, ha rinnovato letteralmente il genere horror.

Una cosa, però, è certa: anche se Non aprite quella porta non è tratto da una storia vera, il suo protagonista, Leatherface, si ispira ad un personaggio reale, altrettanto spietato e crudele: il suo nome è Ed Gein, ma per tutti è “il Macellaio di Plainfield”.

La vita – e i dolori – del giovane Ed Gein

[Scorri in basso per la recensione di Leatherface di A. Bustillo e J. Maury]

È una tranquilla giornata di fine agosto del 1906 e in una umile famiglia di contadini di La Crosse, nel Wisconsin, composta dal signor George, la signora Augusta e il piccolo Henry, di appena 5 anni, nasce Edward Theodore Gein. George Gein è un nullafacente col vizio dell’alcol, mentre Augusta è la tipica donna rigorosa e responsabile – forse troppo – ed è lei a portare avanti la famiglia. Augusta è una matrona austera, rigorosa, profondamente religiosa, che relega i figli in casa per allontanarli dalle tentazioni della città. Per questo motivo, nel 1914 lasciano La Crosse per un paesino più piccolo, Plainfield, e acquistano un casale in aperta campagna, per evitare contatti col mondo esterno.

Tutta questa “solitudine” forzata non fa bene alla sanità mentale del giovane Edward, eppure c’è qualcosa di morboso che lo lega a sua madre. Henry, il fratello maggiore, ha un pessimo rapporto con Augusta, ne rifiuta completamente l’autorità ed entra spesso in conflitto con lei. Edward non sopporta che il fratello “maltratti” sua madre e forse è per questo che decide di ucciderlo, in un pomeriggio di primavera del 1944. Nessuno ha mai dato la colpa ad Ed Gein per l’accaduto, sul momento, ma la sua responsabilità si è resa chiara solo col tempo.

Nel 1945, alla morte di mamma Augusta, Ed Gein rimane completamente solo ed è qui che i tratti più inquietanti della sua personalità cominciano a mostrarsi apertamente. Ed ama molto visitare i cimiteri, dissotterrare i cadaveri e trafugarne alcune parti del corpo per arredare casa; ben presto, però, si accorgerà che le sue spedizioni notturne non sono sufficienti ed è giunta l’ora di trasformarsi in assassino.

Nel corso della sua carriera da serial killer, Ed Gein si dichiara responsabile “soltanto” di due omicidi, Mary Hogan, nel 1954, e Bernice Worden, nel 1957, ma la brutalità delle sue esecuzioni è tale da fargli valere ugualmente il soprannome di “macellaio di Plainfield”. Ed Gein, infatti, non uccide soltanto le sue vittime: le scuoia e macella i loro corpi, come fossero carne di mucca da rivendere al mercato. Con la loro pelle, crea delle conce per vestiti, che poi indossa per i suoi bizzarri rituali nel bosco. Ad Ed Gein piacciono le donne, ma la sua non è una pulsione sessuale: il macellaio di Plainfield desidera egli stesso essere una donna (per assomigliare di più a sua madre, forse, l’unico grande amore della sua vita).

Dichiarato incapace di intendere e di volere, Ed Gein riesce ad evitare il carcere e trascorre gli ultimi anni della sua vita in un ospedale psichiatrico, dove morirà per un tumore nel 1984.

Leatherface: la recensione del film di Maury e Bustillo

Quando Non aprite quella porta è arrivato nelle sale cinematografiche nel 1974, il regista Tobe Hooper era ancora pressochè sconosciuto, ma di lì a poco sarebbe diventato uno dei registi horror di riferimento per appassionati e professionisti del settore, al punto da dare avvio a un nuovo filone cinematografico, fatto di mostri spietati e famiglie disagiate, in una terra spesso desolata e dimenticata da Dio.

Tobe Hooper, con Non aprite quella porta, ha messo in scena i dolori della povertà estrema dell’entroterra americano, in cui le famiglie contadine erano completamente isolate e abbandonate dalle giurisdizioni territoriali. L’emarginazione a cui erano costretti li portava, spesso, a perdere la lucidità e non stupisce se alcuni di loro (come, appunto, la stessa famiglia Gein) si trasformassero in psicopatici assassini.

Il Leatherface di Tobe Hooper proviene da una famiglia di contadini gretti e ignoranti, abbandonati alla loro stessa povertà, con una madre rigorosa e autoritaria, che spingeva i propri figli a delinquere senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze (esattamente come Augusta con Ed ed Henry Gein), ma poco ci era dato sapere sulla sua infanzia e la sua giovinezza.

Per questo motivo, più di 40 anni dopo, i registi francesi Julien Maury e Alexandre Bustillo, decidono di scavare più a fondo e di rispondere a una domanda, tra tutte, fondamentale: chi era Leatherface e cosa lo ha portato a diventare un mostro spietato?

Dal 14 settembre è nelle sale Leatherface, diretto da Maury e Bustillo, con Tobe Hooper alla produzione esecutiva, un film coraggioso e ambizioso (ma non sempre perfetto) che cerca di indagare sulla genesi di Leatherface e sulle ragioni che lo hanno spinto verso il baratro della follia.

Leatherface è un film crudo e diretto, come vuole la tradizione horror d’oltralpe, che non lascia spazio a spiegoni e prologhi privi di pathos. L’inizio è in medias res e la tensione si percepisce fin dalle prime battute della pellicola. Quello che, forse, sembra mancare al film di Maury e Bustillo è una sceneggiatura solida e plausibile, che si soffermi di più sull’infanzia di Leatherface e mostri al pubblico gli orrori nascosti tra le mura della sua casa, tra i membri della sua famiglia.

Lo sceneggiatore Seth Sherwood, infatti, sembra perdere per strada il focus della narrazione più di una volta, distraendo lo spettatore dalle vicende del protagonista principale e facendogli dimenticare le vere ragioni alla base del film. Leatherface sarebbe dovuto essere un film sulle origini di Leatherface, sulla sua infanzia e sul suo rapporto morboso e malato con i suoi familiari, invece si è trasformato in un road movie su un gruppo di ragazzi in fuga da un ospedale psichiatrico (divertente, per carità, ma chiaramente fuori tema).

È un peccato che manchi il mordente narrativo, perchè la regia è tagliente, cruda e sporca proprio come ci ha sempre abituati il cinema di genere d’oltralpe. Lo stile di Maury e Bustillo ci ricorda il cinema freddo e di frontiera di Xavier Gens e quello drammatico e diretto di Alexandre Aja, dimostrando ancora una volta che una rinascita del genere è possibile, ma deve passare dal gelido freddo francese.

Leatherface
7Overall Score
Regia8
Sceneggiatura5
Colonna Sonora7
Fotografia8
Recitazione7
Reader Rating 1 Vote
7.0