Super Dark Times – La recensione del film di Kevin Phillips
Nostalgia è, senza ombra di dubbio, il termine più adatto a descrivere uno dei trend televisivi e cinematografici più dirompenti degli ultimi anni. Menzione d’onore, forse la più semplice, va a Stranger Things, prodotto che nel panorama televisivo moderno è sinonimo di certe forme di narrazione, valori e personaggi tipici dei film che hanno definito un’intera decade e, a distanza di 30 anni, si preparano a definirne una nuova.
Allo stesso modo, peró, nostalgia è alla stregua di qualsiasi altra tendenza nell’era di Internet, qualcosa da imparare a disprezzare dopo poche iterazioni, puntando costantemente il dito contro quelle che agli occhi dei puristi sono delle scelte facili. Una canzone dei Joy Division, un paio di Nike Air Max, una citazione da A Nightmare on Elm Street.
Quindi, cosa ha a che fare Super Dark Times con la spinosa definizione di nostalgia? In sostanza, niente. E non potremmo esserne più contenti.
Il primo lungometraggio diretto da Kevin Phillips ci porta ancora una volta in un piccolo centro abitato della tranquilla America suburbana che ben conosciamo, ma preferisce il desolato grigiume di Campo Minato, gli interventi televisivi di Clinton e le segreterie telefoniche con l’identificativo del chiamante rispetto ai colorati arcade presenti in ogni controparte ambientata negli anni ’80.
Il film si apre con un chiaro presagio su quanto sta per accadere. Siamo nel corridoio di una scuola le cui pareti sono coperte da macchie di sangue. In un’aula, un cervo giace a terra in fin di vita. La polizia interviene nell’unico modo possibile, ponendo fine alla miserabile vita dell’animale e riportando la situazione alla normalità.
I due protagonisti, Zach e Josh, migliori amici da sempre, vengono introdotti subito dopo nel modo più onesto e naturale possibile. I due sfogliano un annuario scolastico e fanno commenti su quale delle ragazze vorrebbero avere la possibilitá di portarsi a letto. È la prima di una serie di scene in grado di farci sentire profondamente a disagio osservando i volti curiosi e sudaticci dei nostri protagonisti. Non si tratta di puritanesimo da parte nostra ma di onesto e sincero imbarazzo. Ed è in questo che Super Dark Times eccelle. Pochi altri film riescono a rappresentare in maniera chiara il range emotivo di quegli adolescenti che provano a comportarsi da uomini pur non essendolo ancora. Ed è qui che la scelta degli anni ’90 si rivela per quello che è, un espediente narrativo più che stilistico, un modo per raccontare quella generazione a cavallo tra gli X e i Millennial, quella che ha avuto troppo ma troppo poco, insicura ma determinata al tempo stesso. I protagonisti risultano credibili nel modo in cui interagiscono tra di loro e nel loro contesto, che si tratti di un giro in bicicletta o di un pomeriggio passato a nascondere un crimine commesso per errore.
La storia si concentra su Zach e le prove che deve affrontare pur di convivere con questo segreto, dalla straziante insonnia ai più vividi incubi fino alla paranoia più opprimente, circondato dallo sguardo di una madre che prova disperatamente a non essere iper-protettiva e da quello di una cotta disposta a mettersi in gioco in ogni modo pur di diventare qualcosa di più. Ma non c’è modo di sfuggire alla realtà. Zach ci prova cercando di comportarsi normalmente, Josh cerca di stare lontano il più possibile da tutto e da tutti, suscitando un sospetto nell’amico.
La tenue luce che filtra attraverso i rami e i colori vividi degli incubi di Zach si mescolano dando vita e consistenza a quella che possiamo definire come la più elementare delle paure: il cambiamento.
C’è qualcosa di diverso nella dinamica tra i due ragazzi. La violenza si è silenziosamente insinuata per le strade della città, sono tempi bui e senza alcuna luce in grado di indicare la via. Bloccati in un sentiero senza fine dove il senso di colpa conduce alla punizione e la punizione conduce a nuovi sensi di colpa. C’è solo un modo per uscirne: crescere.
Esattamente come quello che vediamo nella scena iniziale, non possiamo fare a meno che pensare che, quando il danno è fatto, non resta altro da fare che provare a mettere tutto a posto.
Ed è forse questo il punto in cui Super Dark Times fallisce. La storia si focalizza con successo su uno dei due personaggi, offrendo un punto di vista onesto e originale su cosa significhi essere un adolescente costretto a convivere con un pesante segreto. Ciò che manca è il punto di vista “dell’altro”, le motivazioni che lo spingono a diventare il personaggio che vediamo “per la prima volta” alla fine. Ed è un peccato non avere questo punto di vista in un film che passa così tanto tempo ad analizzare e giustificare ogni imbarazzante e irrazionale comportamento adolescenziale.
Ma, in seconda analisi, forse non è così necessario. La violenza è solo una rappresentazione esagerata ed esasperata di quello che ogni adolescente attraversa ad un certo punto, il tentativo di comprendere e saper bilanciare la propria vita tra amicizie e primi interessi amorosi, la lenta ricerca di quel punto in cui si entra ufficialmente nel mondo degli adulti. O, più semplicemente, il momento in cui un’amicizia finisce.