Tre manifesti a Ebbing, Missouri – la recensione del film vincitore dei Golden Globes
Dopo In Bruges e 7 psychopaths, Martin McDonagh torna alla black comedy con un film drammatico e grottesco sull’elaborazione del lutto
Quando perdiamo qualcuno, magari all’improvviso e in circostanze drammatiche, il rischio di non riuscire ad elaborare il lutto può essere elevato. Se poi la persona che abbiamo perso è stata brutalmente uccisa e la polizia non ha mosso neanche un dito per trovare il colpevole, va da sè che il desiderio di farsi giustizia da soli è ancora più alto.
In Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Mildred Hayes (una Frances McDormand nella sua forma migliore) è una donna rude e incazzata, che ha perso da poco la sua figlia più piccola nel modo peggiore possibile. E poiché la polizia sembra non volersi minimamente interessare al caso, ha deciso di attirare l’attenzione nel modo più folle e geniale possibile: affittando tre manifesti all’uscita di Ebbing, nel Missouri, su cui affiggere la domanda più scottante di tutte:
RAPED WHILE DYING,
AND STILL NO ARRESTS?
HOW COME, CHIEF WILLOUGHBY?
Pur raccontando una storia così drammatica, Martin McDonagh (regista e sceneggiatore di questo film) non intende prendere le parti di nessuno – e in fondo neanche lo spettatore riesce a farlo. I protagonisti di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (tra cui spicca il miglior Sam Rockwell di sempre – complice un lavoro sul personaggio incredibile, sia sul piano fisico che psicologico) sono persone afflitte e disgraziate, che dalla vita hanno ricevuto solo calci sui denti e si sono incattivite al punto tale da perdere completamente lucidità. Non sono personaggi positivi, ma in fondo neppure negativi: sono persone, disperate e devastate da un dolore difficile da sopportare e – come tutte le persone – fallibili, fallaci e fallate.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri, è forse il film più tradizionale di McDonagh, che con In Bruges e 7 Psychopaths ci aveva abituati a una narrazione più coraggiosa e sperimentale: questo, forse, è il rischio di chi dirige le proprie sceneggiature, poiché tende a perdere una visione d’insieme e distaccata e si lascia trasportare fin troppo dai suoi personaggi. Eppure, la sua storia è forte, drammatica, dolorosa e ti incolla allo schermo fino alla fine, quasi come se anche tu – insieme a Mildred – stessi cercando la tua giustizia.
Forti, drammatici e dolorosi sono anche tutti i protagonisti di questo film, perché vittime – in fondo – delle stesse ingiustizie e costretti, alla fine, a doversi confrontare ogni giorno con il proprio dolore.