7 sconosciuti a El Royale: la recensione del nuovo film di Drew Goddard
I “piccoli indiani” di Goddard si incontrano in un motel dalle atmosfere Tarantiniane per redimere le loro anime e provare a salvarsi (la vita)
Una delle cose più difficili da fare, al cinema come in tv, è raccontare storie. Ed è difficile davvero, perché se fosse facile avremmo sempre ottimi film. Drew Goddard lo sa bene – e chi segue le sue opere fin dai tempi di Buffy ne è al corrente pure lui. Il grande dono di Goddard è quello di raccontare storie, di costruire personaggi, di dargli spessore e umanità, anche quando non è richiesto (pensate a Daredevil e capirete bene di cosa parlo). Non è difficile, quindi, immaginarlo dietro le quinte di un film serio, contorto, complesso e pieno di storie, trame e sottotesti come 7 sconosciuti a El Royale (Big Trouble at the El Royale), il film di apertura della 13a edizione della Festa del cinema di Roma.
Immaginate un gruppo di persone che un giorno, per caso, decidono di fermarsi in un motel al confine tra California e Nevada (due posti vicinissimi eppure molto diversi tra loro). Immaginate ora la ragione per cui queste persone sono lì – e cosa sono disposte a fare pur di portare a termine la loro “missione”. Bene, adesso dimenticate tutto e ricominciate daccapo, perché quello a cui avete pensato finora probabilmente non si avvicinerà neppure al cuore pulsante di questo film. Nel depistare la gente, Goddard, è un grande maestro. Ci era già riuscito col suo primo film, Quella casa nel bosco (The Cabin in the Woods) e con 7 sconosciuti a El Royale mantiene la promessa: raccontare una storia complessa e piena di protagonisti, al punto che non sai davvero più dove guardare (e soprattutto a chi credere).
Un po’ Dieci piccoli indiani, un po’ The Hateful Eight – ma in fondo anche un po’ “fratelli Coen”, Drew Goddard ci regala – con 7 sconosciuti a El Royale – un film brillante e frenetico, anche se non particolarmente originale, carico di personaggi di spessore e con talmente tante sottotrame che a volte è difficile fare il punto e prendere una posizione. La verità, però, è che non ci sono buoni o cattivi in questa storia, solo anime perdute e in cerca di redenzione che fuggono dal loro passato e cercano una qualche salvezza – che tarda, però, ad arrivare (per tutti). Ognuno dei sette protagonisti (o forse il protagonista è proprio il motel che li ospita, anche lui a suo modo in cerca di redenzione) ha una storia – dolorosa – da raccontare e spesso non servono parole per farlo.
Eccolo qui, dunque, il grande dono di Goddard: dare vita a personaggi tragicamente umani, anche quando di umano non è rimasto più nulla.