A Ghost Story: la recensione
David Lowery dirige Rooney Mara e Casey Affleck in un intenso e delicato film sull’elaborazione del lutto.
Ci sono film che parlano di amore, dolori e perdite. E ci sono film che parlano di fantasmi, case infestate e poltergeist. E poi c’è A Ghost Story, che è tutto questo insieme eppure non è un film che parla d’amore, nè un film horror sui fantasmi.
A Ghost Story è un film che parla di perdite, però, e di rielaborazioni del lutto. Ed è la storia di un uomo che perde la vita e diventa un fantasma e vaga nella sua vecchia casa per cercare di sistemare i suoi conti in sospeso, perchè è questo che fanno i fantasmi, si aggirano attorno a ciò che li apparteneva in vita finchè non risolvono le questioni sospese e possono, finalmente, volare via.
David Lowery riesce, con A Ghost Story, a calibrare perfettamente un dramma come la storia d’amore tra M. e C. (non conosciamo i loro nomi, nè le loro vite, ma non ci importa, perchè il loro dolore è palpabile e intenso allo stesso modo) e la visione fanciullesca dei fantasmi, delle anime in pena avvolte da un lenzuolo bianco con due fessure al posto degli occhi per poter osservare il mondo circostante.
Ecco, A Ghost Story parla di anime in pena, perchè tali sono quelle che vanno via, dopo una perdita, ma tali sono anche quelle che restano, perchè sopravvissute a quella perdita e perchè, in qualche modo, devono provare ad andare avanti e lottare contro il tempo.
“It’s all about time”, recita la tagline principale di A Ghost Story, ed è proprio il tempo il deus ex machina di questo film, il tempo e la sua percezione soggettiva, dal punto di vista di chi resta e da quello di chi, purtroppo, si prepara ad andare.
Lowery decide di girare A Ghost Story in digitale e utilizzando lenti per Super16, così da favorire una ripresa in 4:3 per dare un aspetto vintage all’intero film, rendendolo quasi più etereo, più sospeso, così come sono le anime in pena protagoniste di questo film.
A Ghost Story è un film speciale perchè ne comprendi il significato almeno 12 ore dopo la visione, come quando al risveglio da una lunga dormita ti ricordi finalmente quella cosa importante che dovevi fare la sera prima di andare a letto, e ti ci arrovelli perché era lì, impressa nella tua mente ma no, non riuscivi proprio a ricordarla. A Ghost Story è così, si lascia guardare con apparente indifferenza, all’inizio, perchè non capisci bene dov’è che vuole andare a parare, e poi ti cattura, scena dopo scena, fino all’intenso e drammatico finale.
A Ghost Story, però, è anche un film semplice, che non ha bisogno di una sceneggiatura pomposa o di dialoghi drammaticamente intensi per arrivare dritto al cuore dello spettatore (il film è costato soltanto 100.000 dollari ed è stato girato in pochi giorni e praticamente in segreto), quasi a dimostrare che, a volte, basta un’idea potente per fare un grande film.

La locandina di A Ghost Story realizzata da P+A