The Bad Batch: la recensione del film di Ana Lily Amirpour
In un deserto distopico e desolante, una donna cerca di sopravvivere nella speranza – forse vana – di una vita migliore
Bad batch è un modo di dire inglese, significa “partita cattiva, sbagliata, avariata”, spesso associata a cibo o materiali deperibili. Un bad batch è un reietto, quindi, uno scarto della società, destinato a diventare carne da macello. Un outsider, insomma, ed è lì che in fondo è relegato: ai bordi delle città, senza la minima possibilità di riscatto.
Il nuovo film di Ana Lily Amirpour, The Bad Batch (già disponibile su Netflix), racconta proprio la storia di questi reietti, ambientando il suo film in un futuro distopico e disturbante, in cui a sopravvivere non è il più forte ma il più spietato.
Siamo in Texas, terra desolata e di nessuno, al confine tra la vita e la morte. Terra in cui il caldo, il sole e le distese desertiche annullano ogni tentativo di forma vitale. Terra in cui i diversi sono esclusi, scartati, isolati e allontanati dalla città e costretti a vivere nell’anonimato, riconosciuti solo attraverso un codice, perchè assolutamente indegni di essere definiti uomini.
In questo Texas disgraziato e folle vive e sopravvive Arlen, la giovane e bellissima protagonista che ha abbandonato il suo nome a favore di un numero, 5040, la sua unica vera identità. Ed è qui che si muove quasi tutta l’azione del film, in un deserto sconfinato che si perde nel nulla, abitato da anime in pena e folli alla disperata ricerca di un posto chiamato casa.
Un po’ Mad Max, un po’ survival horror (e ricorda vagamente le atmosfere di Rob Zombie e dei suoi reietti del diavolo), The Bad Batch è un film che disturba, che inquieta, che diverte ma fa anche pensare, perchè un mondo così eccessivo è possibile ed è più vicino di quello che sembra. Con una patinatura un po’ sgranata e un po’ hipster tipica del cinema di Ana Lily Amirpour (già regista di un’acclamata opera prima chiamata A Girl Walks Home Alone at Night), The Bad Batch racconta di un futuro distopico neanche troppo lontano, in cui la società ti scheda in base al tuo aspetto, al tuo benessere, alle tue possibilità e non importa quanto tu provi a lottare per sopravvivere e migliorare, se nasci Bad Batch muori Bad Batch – e spesso neanche tutto intero.
Accolto dalla critica in maniera infastidita e negativa, The Bad Batch è invece un film imperfetto ma anche molto coraggioso, certamente irriverente e sopra le righe, che prova a fare cinema utilizzando linguaggi e schemi lontani dal mainstream. L’unica pecca, in un film come questo, è la volontà dichiarata di fare un cinema diverso, che risulta a volte un po’ forzato, volutamente eccentrico o eccessivo, ma che non perde mai la sua forza interiore.
Ironia della sorte, The Bad Batch è diventato esattamente ciò che rappresenta e intende ripudiare: una partita avariata di carne che tutti cercano di evitare – ma che in realtà ha molta più personalità di quel che sembra.
Il trailer di The Bad Batch, disponibile su Netflix: