I Kill Giants: la recensione del film tratto dal fumetto di Kelly e Niimura
Il film di Anders Walter è una delicata favola che parla di paura, coraggio e mostri giganti da combattere – con un dado di Dungeons&Drangons.
“I find giants. I hunt giants. I kill giants.”
La paura è un mostro gigantesco, una creatura mostruosa pronta ad inglobare senza pietà tutto ciò che incontra.
Ci capita spesso di avere paura e altrettanto spesso, forse, di non riuscire ad affrontarla come dovremmo (o vorremmo). E quando non riusciamo ad affrontare la vita reale, ci capita anche di fuggire in una dimensione sur-reale, completamente inventata da noi, in cui proviamo a sconfiggere quei mostri giganti, anche se immaginari, nella speranza che spariscano anche nella realtà.
Barbara Thorson, la protagonista di I Kill Giants, è una ragazzina speciale. Si veste in modo eccentrico, gioca a Dungeons&Dragons, ha pochissimi amici (forse nessuno), una famiglia un po’ sgangherata e una bizzarra routine, che porta avanti ogni giorno.
“Trovo i giganti, caccio i giganti, uccido i giganti” è la frase che Barbara dice alla sua nuova amica Sophia, che si chiede cosa farà mai di così importante, tutti i giorni, agli stessi orari. E chi sono, poi, questi giganti e perché, soprattutto, tormentano la piccola Barbara?
I Kill Giants è la trasposizione di un fumetto del 2008 scritto e disegnato da Joe Kelly e J. M. Ken Niimura (trovate un estratto su Issuu) ed è diretto da un regista danese, Anders Walter, che in questo film ripone tutto il suo animo indie europeo (senza, però, forzare mai la mano), con una semplicità senza pari. E anche se la somiglianza con A Monster Calls è innegabile (al punto che sembra che i due racconti si siano ispirati a vicenda – anche se il fumetto è arrivato prima), I Kill Giants mantiene intatta la sua purezza e la sua forza, fino alla fine del film.
Nonostante lo spirito dichiaratamente indie, infatti, I Kill Giants è un delicatissimo racconto di formazione, un coming of age, come direbbero gli americani. Le atmosfere sono fredde e cupe, ma allo stesso tempo colorate e “fumettose” (le location si aggirano tra il Belgio e l’Irlanda), così come appare Barbara, in fondo, agli occhi di chi la osserva.
Barbara, infatti, non è semplicemente una ragazzina “sopra le righe”, ma una giovane donna dall’emotività distrutta che cerca disperatamente di sopravvivere al suo dolore e all’incapacità di affrontare le sue paure nella vita reale. I veri mostri, i “giganti” che popolano la sua realtà, sono molto più piccoli di quelli che Barbara affronta nel suo mondo immaginario, è vero, ma solo nell’aspetto. Per Barbara, infatti, affrontare i giganti in una dimensione non-reale è l’unico modo che ha per evitare di affrontare quelli della sua vita vera. Il gioco, però, è destinato a finire molto prima del previsto e Barbara dovrà incanalare tutte le sue forze per combattere ciò che teme davvero.
Perché combattere i giganti nella fantasia è un gioco, ma farlo nella realtà ti trasforma in un eroe. E questo film, come il fumetto, è dedicato “A chi combatte i propri giganti. Siete più forti di quel che credete.”.