Mute di Duncan Jones e il problema di Netflix con la fantascienza

Questi ultimi due anni sembrano essere stati incredibilmente proficui per gli amanti della fantascienza, o almeno così sembra. É la realtà o siamo stati tutti vittime di un’allucinazione collettiva?

Probabilmente no, ma c’è qualcosa che sta cambiando completamente le carte in tavola e si chiama Netflix.

Ma prima facciamo un passetto indietro, nel nostro futuro.

Mute

Febbraio 2018, Neflix mette a catalogo uno dei progetti più attesi degli ultimi anni: Mute, realizzato dal poliedrico regista, scrittore, wannabe fumettista e figlio di divinità Duncan Jones. L’attesa per questo film, ad essere onesti, è stata forse più per Jones stesso che per noi spettatori, visto che il progetto doveva vedere la luce più di dieci anni fa, prima dell’unico vero capolavoro targato Duncan Jones, Moon, ma venne rimbalzato con grasse risate dall’universo chiuso e antico di quei signorotti con monocolo e cilindro chiamato Hollywood. Jones provò quindi a trasformarlo in un fumetto grazie alla collaborazione con la Dark Horse ComicsGlenn Fabry, cover artist di Preacher, ma anche qui, grasse risate. Nel 2009 però Jones dimostrò al mondo di che pasta era fatto il figlio del vero Starman David Bowie, dirigendo e co-scrivendo uno dei lungometraggi di fantascienza più riusciti degli ultimi anni, Moon appunto, interpretato da un incredibile Sam Rockwell e un Kevin Spacey un po’ robotico, ancora all’oscuro del suo futuro da pariah dei salotti bene. Bene, direte, lieto fine per la carriera di Jones, ormai lanciata nel mirabolante establishment hollywoodiano? Riuscirà il nostro eroe a realizzare il suo progetto primario chiamato Mute? Beh non proprio. Qualcosa deve essere andato storto. Passano gli anni e Jones sforna mediocri blockbuster che solo suo estro creativo riesce a rendere comunque gradevoli, quali Source Code (2011) con un sempre apprezzabile e sempre più impronunciabile Jake Gyllenhaal, oppure Warcraft:L’inizio (2016). Sì, ho definito gradevole Warcraft, fatevene una ragione, il giovanotto fa un cinema talmente acerbo da essere così fuori dagli schemi da rendere gradevole anche un progetto nato dalle ceneri dell’universo del disagio umano videoludico più popolare del decennio scorso. Quindi passano gli anni e Duncan Jones fa tutto quello che è umanamente possibile per affermarsi come regista ma i vecchi tromboni sulle colline innevate di Hollywood continuano a snobbarlo. É qui che entra in campo il nostro caro amico Netflix. Dove nessuno osa produrre, Netflix, indebitandosi fino allo stremo, investe. Ed è un bene per la creatività, sicuramente, un po’ meno per la qualità complessiva.

mute

“Dove nessuno osa produrre, Netflix, indebitandosi fino allo stremo, investe. Ed è un bene per la creatività, sicuramente, un po’ meno per la qualità complessiva.”

Mute esce in un periodo in cui Netflix sta puntando molto sulla fantascienza in generale, basti pensare a titoli rilasciati solo negli ultimi 3 mesi, come Bright, di David Ayer, scritto da un altro figlio d’arte come Max Landis, oppure il diretto concorrente di Mute, Altered Carbon, una non-troppo-riuscitissima serie tv, superpompata di moneta sonante da Netflix per dare una dignità all’immaginario cyberpunk moderno. Nonostante siano visivamente eccellenti, entrambi devono comunque fare i conti con l’immaginario visivo creato nel 1982 da Blade Runner, (ma chi è che al giorno d’oggi non deve?) al quale sono direttamente collegati, in parte fallendo.

Ma di cosa parla Mute e perché la maggior parte degli spettatori e critici l’ha ripudiato?

Effettivamente la sua trama è piuttosto sconnessa, soprattutto perché se con alcuni prodotti netflix ci stiamo scordando di vedere TV (vedi Mindhunter o Mudbound ad esempio) con Mute stiamo scordando di vedere cinema, se ancora possiamo chiamarlo così di un prodotto streaming-only.

mute justin theroux

Leo (Alexander Skarsgård) è un non più giovane moderno amish, credente, al quale molti anni prima per colpa di un classico incidente amish viene recisa la gola da un motoscafo (motoscafo a vapore probabilmente), perdendo l’uso della parola. Avrebbe potuto salvarla con un’operazione ma la madre in preda ad una crisi mistica decide di lasciarlo con la disabilità. In una Berlino più cyberpunk che mai, trent’anni dopo, Leo vive la sua vita come barman in un locale per adulti attratti in qualche modo da pole dancers robotiche, in pieno stile Futurama. La sua silenziosa vita va in qualche modo anche bene, ha un lavoro ma soprattutto ha l’amore della sua vita, Naadirah (Seyneb Saleh), che però nasconde un segreto quasi inconfessabile al povero Leo, scomparendo dalla sua vita di punto in bianco senza nemmeno un bigliettino d’addio. Per ben più di due ore Leo investigherà sulla sua scomparsa cercando indizi tra prostituzione e personaggi vestiti con le buste di plastica, imbattendosi in quella che è la parte interessante della storia, il duo creepy-comico Cactus & Duck, interpretati rispettivamente dai baffi di Paul Rudd e dalla sorpresa della serie tv Leftovers, Justin Theroux. I due simpatici mattacchioni, tra una bromance e una partita a bowling da veri uomini, organizzano operazioni mediche illegali per la criminalità russa nel seminterrato della propria casa. Le vite di Leo e Cactus, sono più legate di quello che sembra catapultando lo spettatore in una doppia caccia all’uomo.

Purtroppo per la trama, la parte più interessante di questa storia sta proprio nella caratterizzazione dei due personaggi che dovrebbero essere secondari: Cactus e Duck, due ex medici militari americani che hanno servito il proprio paese insieme, ridotti a vivere in una Berlino senza speranza e piena di corruzione. Ma mentre Cactus, dall’altro della sua follia di padre single, vuole tornare nel proprio paese per il bene della figlia piccola, Duck si diletta a riprendere minorenni per soddisfare la sua deviazione sessuale. In qualche modo dentro entrambi c’è il bene e il male, e complessivamente sono più interessanti di un bestione muto che vaga per la città alla ricerca della ragazza.

Le interpretazioni dei tre però sono talmente impeccabili ed intense che il film dopo tutta la confusione iniziale ci porta ad un finale di una potenza incredibile, osando riflettere anche su temi molto delicati come la pedofilia e le proprie convinzioni religiose.

mute Alexander Skarsgård

Complessivamente Mute, ha delle pecche incredibili, dalla sceneggiatura alla regia stessa, anche se visivamente riesce ad essere molto sincero, laddove Altered Carbon aveva fallito appiattendo completamente l’immaginario cyberpunk usando solo teatri di posa, invece di integrare il futuro alla città reale (a tratti anche ingenuamente) come nel caso del film di Duncan Jones. Purtroppo, non basteranno al film i camei di Sam Rockwell per integrarlo nello stesso universo di Moon, ed ogni sforzo in quella direzione sembra quasi un passo indietro, a scapito dell’originalità dell’opera. Ma Mute non è solo un film di difetti, passa sopra i canoni della regia e sceneggiatura classica andando a scavare direttamente nei sentimenti, e forse nell’autobiografico (vedi i ringraziamenti finali).

“Mute non è solo un film di difetti, passa sopra i canoni della regia e sceneggiatura classica andando a scavare direttamente nei sentimenti, e forse nell’autobiografico.”

Se credete però che sia stato troppo cattivo nel descrivere i difetti di questo film, forse non avete presente la pioggia di recensioni negative che sono fioccate in questi giorni. Onestamente il prodotto non è all’altezza delle aspettative e confusionario, ma definirlo uno spreco di tempo mi sembra molto esagerato. In un tweet profetico, lo stesso Jones ha paragonato Mute alla simpatica marmellata australiana Vegemite: o lo odi o lo ami, ma questo d’altronde è un problema comune all’universo delle opinioni su internet.

Alla luce di questo fallimento, si pone quindi il dilemma di cui sopra: Netflix è un bene o un male per la fantascienza e forse per il cinema in generale? Onestamente è molto difficile da prevedere ma sicuramente sta cambiando il modo in cui fruiamo del cinema e tv in quanto spettatori. Senza Netflix Mute probabilmente non avrebbe mai visto la luce, e questo è un bene, perché si deve sempre dare spazio alle nuove teste, e ai prodotti che non sono puramente commerciali per Hollywood, laddove non riesce ad arrivare la mano dell’industria del cinema indipendente. Ma Netflix ha il brutto vizio, forse per budget, forse per scelta di appiattire completamente il prodotto che stiamo vedendo, che sia cinema o tv, abituando l’occhio a qualcosa che sta nel mezzo tra i due media. Forse sarà un discorso antiquato, ma credo sia importante riuscire a distinguere cosa si sta vedendo e riuscirlo a catalogare come cinema o come televisione. Netflix, a differenza di altri servizi di streaming come ad esempio HBO, non ti da questa scelta; abbiamo film che sembrano serie tv e serie tv che sembrano film, entrambe, a mio avviso, di una media fattura. Pochissimi sono gli esempi che ci fanno scordare di essere su Netflix, e spesse volte trattasi di co-produzioni. Quindi: Netflix è realmente un bene per la fantascienza che non avrebbe mai visto la luce, se poi quello che ne esce fuori sono tendenzialmente produzioni mediocri? A voi la risposta.

 

Mute
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