Romacinemafest 2017: Birds without Names
Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: dietro le miserabili esistenze dei protagonisti di questo Melò giapponese si celano personalità complesse e devastate che cercano in ogni modo di ricevere amore, almeno tanto quanto provano a darne.
Tratto da un omonimo romanzo bestseller in Giappone, Birds without Names (Kanojo ga Sono Na wo Shiranai Toritachi) è un thriller psicologico che scava a fondo nell’animo umano, portando a galla le sue fragilità più estreme e rivelando al mondo la sua vera identità, proprio lì dove le apparenze ingannano.
Towako è una ragazza giovane, bellissima, con un’esistenza apparentemente comune. Vive con Jinji, un uomo goffo, rozzo, sporco e 15 anni più grande di lei. Jinji ama Towako, la ama di un amore che non si può definire, uno di quelli che ti fa accettare qualsiasi cosa, anche che qualcuno si approfitti di te, senza curarsi minimamente di ciò che senti. Towako non ama Jinji, ma è grazie a lui se ha una casa, un letto e del cibo a fine giornata, quindi cerca di farselo bastare. E a lei basterebbe pure, alla fine, se nel suo cuore non ci fosse ancora il suo grande amore Kurosaki. Ma che fine ha fatto Kurosaki? E Jinji, c’entra qualcosa con la sua sparizione? Come mai Towako non riesce a dimenticarlo, nonostante tutto quello che ha subito a causa sua?
A tutte queste domande prova a rispondere il regista di questo film, Kazuya Shiraishi, che approfitta di questo malato ed inquietante circolo amoroso/morboso per raccontare – in modo intenso e delicato, nonostante tutto – la violenza sulle donne e le conseguenze derivate da un abuso (conseguenze che, in questo caso, possono rivelarsi terribili e inaspettate).
“Sono rimasto subito attratto dalla storia d’amore tra Jinji e Towako – ha dichiarato il regista – ed ho deciso infatti di trasporre subito il romanzo in un film. Qui mostro la quintessenza dell’amore”, un amore così malato e morboso da non avere quasi giustificazioni razionali, uno di quegli amori che le copertine dei giornali non vorrebbero mostrare mai, ma di cui la vita di tutti i giorni è più che satura.
È disarmante, Birds without Names, disarmante e disturbante, perché anche se i personaggi sono tutti più o meno negativi, in qualche maniera riesci ad empatizzare con loro, soprattutto con Jinji, e ad augurarti che alla fine le cose possano andare bene, almeno per una volta.
Per citare lo stesso regista, “anche se molti dei personaggi sono poco più che spazzatura umana, questo film vi porterà in un posto che va al di là di ogni umana comprensione”. In questo posto ci sono finita pure io – e non credo di essere ancora tornata indietro.