Sorry we missed you: la recensione del nuovo film di Ken Loach

“Devo andare a lavorare. Sono un padre di famiglia”

Don Lane è morto dopo essere entrato in coma diabetico mentre guidava il furgone durante le consegne di Natale. La compagnia di spedizioni per cui lavorava lo aveva multato di 150 £ per essersi recato a una visita specialistica e, non potendo permettersi altre multe, non si è più curato. Muore a 53 anni dopo 19 anni di lavoro alla DPD. Questa è la storia vera su cui si basa la sceneggiatura di Paul Laverty.

Sorry We Missed You è ambientato a Newcastle nel North East dell’Inghilterra, una città con un importante passato industriale. Le miniere sono state dismesse alla metà degli anni 50, i cantieri navali totalmente negli anni 90, la gentrificazione è a pieno regime. Nel 2016 per la Brexit hanno votato Leave il 49,3% e Remain il 50,7%, alle ultime elezioni ha vinto il Labour con una maggioranza stretta. Siamo nei limiti, non certo vittorie schiaccianti.

Il protagonista di Sorry We Missed You si chiama Ricky Turner (Kris Hitchen), sua moglie Abbie (Debbie Honeywood), sua figlia di undici anni Liza (Katie Proctor), suo figlio adolescente Sebastian (Rhys Stone).

Abbie ha un contratto a zero ore come infermiera domiciliare (guadagna solo se lavora e lo fa dalle 7.30 alle 21) mentre Ricky, dopo aver fatto ogni possibile lavoro per anni, ora vuole dare alla famiglia una casa (c’era andato vicinissimo nel 2008 ma a seguito della crisi finanziaria ha perso il lavoro) e mettersi in proprio per chiudere una volta per tutte la condizione di precarietà della famiglia; la paura di essere sbattuti fuori dalla casa in affitto in ogni momento, la paura della fine di ogni dignità, la paura è il pane quotidiano dei Turner, un’angoscia che non li fa più vivere e che li divide.

E qui inizia la discesa infernale il cui demone tentatore è Malloy (Ross Brewster), colui che mostra a Ricky la possibilità di rendersi indipendente e guadagnare molti soldi.

Come direbbe George Carlin – e non solo ovviamente -: BULLSHIT.

Malloy è la gig e la service economy, il neoliberismo, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la deregulation del mercato del lavoro, l’idea perversa dell’imprenditorialità – si è imprenditori anche se si ha un negozio di frutta e verdura secondo l’attuale linguaggio – su cui si è costruita un’illusione a portata di mano dei disperati che un tempo erano orgogliosi di essere operai – anche questo si chiama consumismo.

Come lamentarsi di questo paradiso? E infatti non bisogna lamentarsi mai, anche perché la sacralità del lavoro è stata distrutta, la working class è inferma come Mollie (Heather Wood), una paziente di Abbie con un passato di scioperi, picchetti e solidarietà sconcertata nell’apprendere del contratto a zero ore. La strada in discesa è opera del thatcherismo, della Clause IV del Labour di Blair e di tanto altro ancora, tutti argomenti ampiamente affrontati da Ken Loach sin da Riff Raff (1991) dove un cantiere edile era metafora del tempo presente e soprattutto di quello a venire.

“Devo andare a lavorare. Sono un padre di famiglia”

Così si conclude Sorry We Missed You, un finale sospeso come sospesa è la vita dei suoi protagonisti. Il volto di Ricky mentre guida il furgone è tutto quello che rimane da dire poiché quello che sarà ce lo ha scritto lì, tra il pianto e le ferite.

Che famiglia è quella dei Turner? Anzi che famiglia ERA quella dei Turner?

Ce lo dice Liza con il suo comportamento. È Liza il fulcro della famiglia e la depositaria della loro storia personale, è lei che provvede a ricordare chi sono, brave persone unite da un senso profondo dell’amore l’uno verso l’altro, e grazie a Liza, con un gesto per lei inusuale, tutto questo finalmente riaffiora nel momento più difficile. I Turner non possono essere battuti da un furgone bianco, da uno scanner (aka pistola e credo non ci sia definizione migliore), dalle 12 ore al giorno tutti i giorni controllate nei minimi particolari, dalla bottiglia di plastica per urinare o dai 4 minuti per mangiare, insomma di quella famiglia deve rimanere qualcosa. Questo ci dice Liza. Invece per Sebastian, talentuoso street artist, è diverso; il ragazzo ha perso il rispetto per suo padre (può esserci perdita più grande per un family man?) che odia tanto quanto ama per essersi piegato all’ingranaggio di quel consumismo che combatte a suo modo.

Ma Abbie sa di chi è la colpa. Al limite della sua pazienza, la buona, dolce, disponibile Abbie, che crede ancora nell’importanza del suo lavoro nonostante la difficoltà nell’esercitarlo, tratta Malloy al telefono come va fatto chiedendogli chi gli permette di essere quello che è.

Una società in cui gli oggetti di consumo consegnati da Ricky sono assicurati mentre Ricky non lo è ha perso la sua posizione nella Storia. I clienti ricevono le consegne senza voler sapere chi è la persona che suona al campanello, quanto gli costa dover insistere per una firma, una carta d’identità, un nome, a loro interessa l’oggetto acquistato online.

Questa volta Loach non può trovare gesti di solidarietà da parte di qualcuno al di fuori della famiglia Turner. Nessun collega di Ricky è pronto ad aiutarlo, finanche quello più vicino a lui lo spinge a prendersi il giro di consegne di un altro reo di aver chiesto a Malloy un po’ di riposo dopo 14 giorni continui di lavoro. Chi lo fa adduce scuse poco plausibili invece di dire chiaro e tondo che non ci stanno a farsi la guerra tra di loro. Nessuno accorre come sarebbe accaduto in passato al pronto soccorso per accertarsi delle condizioni di Ricky, nessuno si preoccupa del destino della famiglia.

È un ritratto devastante su cui Loach opera una ulteriore sottrazione rispetto ai film precedenti, un essenziale racconto di vita dove finanche la musica di George Fenton tende a scomparire. Il portachiavi all’ingresso è vuoto quando Liza torna da scuola, i cereali sono il pasto veloce dei ragazzi, le foto della famiglia il solo elemento personale di arredamento.

L’unico momento riconducibile ai classici temi della working class del cinema di Loach è il calcio. Durante una consegna Ricky, tifoso del Manchester United, ne incontra uno del Newcastle ed è subito Premier League, gli storici 12 punti di vantaggio in classifica del Newcastle sull’United, Cantona, Keegan, gli sfottò. Per il resto nessuna risata seppellirà l’orrore del presente.

Con I, Daniel Blake (2016) si pensava che Loach avesse raggiunto uno dei livelli più alti del suo cinema, dopo anni di esperienze e di lavoro sul suo stile troppo spesso ritenuto uguale eppure in perenne evoluzione, ma Loach è uomo da piccoli gesti seppure di grande impatto per i contenuti, non vedremo mai un aspetto anche tecnico sovrastare gli altri, non grida Loach e forse è per questo che la sua coerenza è ben salda. A Loach piace l’insieme, l’unità, la cooperazione su tutto.

Sorry We Missed You è un film scorretto come sempre accade quando un regista è libero. Da Poor Cow (1967) sino ad oggi, per limitarci ai film per il cinema, tra capolavori – e questo lo è – e cadute, Ken Loach è più vivo che mai.

Emanuela Liverani

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