What You Gonna Do When the World’s on Fire? – il documentario di Roberto Minervini sulle condizioni degli afroamericani in USA
Lavorando con diverse comunità africane americane della Louisiana meridionale, mi sono presto reso conto che la maggior parte delle persone era stata segnata da due pagine drammatiche della storia recente: l’uragano Katrina del 2005 e l’uccisione di Sterling per mano della polizia nel 2016. Mossa dalla collera e dalla paura, la gente cercava un’occasione per raccontare a voce alta le proprie storie.
Estate, 2017. Un’estate così calda non si avvertiva da tempo. Le strade degli Stati Uniti sono devastate da brutali ed ingiuste uccisioni. Le vittime sono giovani afroamericani e il carnefice è sempre lei, la polizia. Come ci si può sentire a casa e al sicuro in un paese che non ti tutela e protegge come dovrebbe? Come fa un afroamericano a sentirsi un cittadino americano se è ancora percepito come una minaccia?
Dopo Louisiana (The Other Side) e Stop the Pounding Heart, Roberto Minervini dirige What You Gonna Do When the World’s on Fire? e riflette sul concetto di razza in America e su come il tempo, purtroppo, sembra essersi tragicamente fermato. Il documentario è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia.
“Nei miei film precedenti – racconta Roberto Minervini, regista italiano che ormai vive e lavora in USA da diversi anni – ho raccontato storie del Sud americano che si sono svolte in forme inaspettate sotto i miei occhi. Ho documentato aree dell’America di oggi dove i semi della rabbia reazionaria e anti-istituzionale (cui il paese deve la presidenza di Donald Trump) erano già stati piantati, anche se in pochi si erano presi la briga di accorgersene. Questa volta ho voluto scavare ancora più a fondo, alle radici della disuguaglianza sociale nell’America di oggi, concentrandomi sulla condizione degli afroamericani. Lavorando con diverse comunità africane americane della Louisiana meridionale, siamo riusciti ad avere accesso a quartieri e comunità di New Orleans off-limits per i più. Mi sono presto reso conto che la maggior parte delle persone era stata segnata da due pagine drammatiche della storia recente – le conseguenze dell’uragano Katrina del 2005 e l’uccisione di Alton Sterling per mano della polizia nel 2016 –, riconducibili entrambe alla negligenza istituzionale, alle disparità sociali ed economiche, al forte razzismo endemico. Mossa dalla collera e dalla paura, la gente cercava un’occasione per raccontare a voce alta le proprie storie”.
Gli afroamericani in USA ci provano da sempre, ad avere voce in capitolo, fin dalla nascita dei Black Panther nel 1966, il gruppo rivoluzionario conosciuto oggi come il nuovo partito delle Pantere Nere per l’autodifesa. Autodifesa, appunto. Da una società che continua a relegarli ai margini (delle strade, della vita, della società stessa). La loro voce, però, è forte e desiderosa di giustizia e verità e niente potrà fermare il loro bisogno di equità e rispetto.
In USA ci sono 40 milioni di afroamericani, circa il 12% della popolazione. Di loro, 10 milioni vivono al di sotto della soglia della povertà, 4 milioni sono disoccupati e 1 milione è lasciato in carcere a marcire, letteralmente. Ogni anno, la polizia americana fredda senza apparente motivo numerosi neri, basandosi solo su semplici supposizioni: se nel 2016 la polizia ha ucciso 39 “suspicious unarmed blacks”, nei primi 4 mesi del 2018 la cifra è salita a 69 (per 4 mesi, però, non per un anno). Il 32% delle vittime delle forze dell’ordine è afroamericano. 32% – e la popolazione afroamericana negli USA non supera il 12%.
Sembra incredibile, ma gli USA non hanno mai cambiato atteggiamento nei confronti degli afroamericani. Non importa quanto la società si evolva, quanto la schiavitù possa diventare illegale, quanto sia possibile oggi sedersi tranquillamente su un autobus o andare a votare, gli afroamericani saranno sempre visti come “inferiori”, sia dal punto di vista sociale che da quello economico.
I dati parlano chiaro – e fanno anche piuttosto paura: rispetto al ’67, il divario di reddito fra bianchi e neri è aumentato del 40% e in caso di reato, i neri vengono condannati con pene molto più lunghe e severe rispetto ai bianchi. Nelle carceri, il 60% della popolazione carceraria è afroamericana (e in USA solo il 12% della popolazione è nera, non dimentichiamocelo) e gli afroamericani uccisi dalle forze dell’ordine ammontano a circa due alla settimana (quasi sempre basandosi su semplici supposizioni).
Sono numeri che fanno spavento e fanno riflettere a lungo, perché nonostante gli USA abbiano da poco salutato un presidente nero come Obama, il razzismo è ancora forte, prepotente, dilagante e spaventoso – oltre che letteralmente mortale. Non solo in USA, purtroppo: il razzismo è tornato più forte di prima anche in tutta Europa. È giunto il momento di trovare una soluzione.
“La mia speranza – conclude Minervini – è che What You Gonna Do When the World’s on Fire? susciti un dibattito necessario sulle attuali condizioni dei neri americani che, oggi più che mai, assistono all’intensificarsi di politiche discriminatorie e crimini motivati dall’odio.”.